Mostruoso. Non c’è altro aggettivo per incorniciare il giro al fulmicotone di George Russell che in Canada ha strappato la pole position come si strappa un foglio da un quaderno, con un misto di rabbia e precisione. La Mercedes, che sembrava destinata a inseguire le ombre di Red Bull e McLaren, si ritrova a brindare con lo champagne della prima fila, e pure con il quarto posto di un Kimi Antonelli. Applausi.
E poi c’è lui, il solito Verstappen, il cannibale olandese che sembrava aver già messo la firma sulla pole. Ma no, stavolta il copione è stato riscritto. Russell, con un colpo di reni e un giro perfetto ha beffato Max e pure il giovane Piastri, che con la sua McLaren sembrava pronto a prendersi l’ennesima pole. Invece, niente da fare: il cronometro ha detto Mercedes, e la festa è tutta d’argento. Così per la prima volta dal 2024 non abbiamo una McLaren in prima fila.
E Leclerc? Che peccato. Il suo giro veloce era partito come un razzo, con quel primo intertempo record. Ma poi, due errori, due piccoli graffi sull’asfalto, e il sogno si è sgretolato. Ottavo posto, un pugno nello stomaco per chi sa quanto vale. Hamilton, dall’altra parte del box, ha fatto un po’ meglio, quinto, ma è un “meglio” che sa di consolazione.
E Norris? L’enfant prodige della McLaren, che sembra sempre sul punto di fare il botto, ma poi, nei momenti che contano, inciampa. Piccoli errori, certo, ma sono quelli che fanno la differenza tra una pole e un fiasco. La sua McLaren è una belva, ma Lando, per ora, è un domatore che ogni tanto si distrae.
In ogni caso, domani al Gran Premio del Canada, decimo appuntamento della stagione, il secondo in Nordamerica dopo quello di Miami, può davvero succedere di tutto.
Il circuito, intitolato al leggendario Gilles è un mosaico di contraddizioni. Lunghi rettilinei dove le monoposto sembrano missili, chicane strette che impongono frenate al cardiopalma, curve tecniche che mettono a nudo i limiti di uomo e macchina. E poi c’è quel muro, il “Muro dei Campioni”, che è ma una sorta di mito pagano. Nel 1999 ci finirono contro tre campioni del mondo – Hill, Schumacher, Villeneuve figlio – come se la pista avesse deciso di ricordargli che qui, in Canada, nessuno è intoccabile. È una pista stop&go, dicono gli ingegneri, una che premia la stabilità in frenata e la trazione in uscita. Ma è anche una pista che non perdona distrazioni, né ai piloti né alle gomme.
A proposito di gomme: Pirelli porta in Canada il tris più morbido della sua gamma, con la C6 che torna a far parlare di sé dopo Imola e Monte Carlo. È una scelta audace, quasi un invito a osare, su un asfalto liscio come un biliardo, poco abrasivo ma infido. L’evoluzione della pista è rapidissima, i tempi crollano giro dopo giro, e guai a chi non sa leggere il mutare dell’aderenza.
Ma il Gran Premio del Canada è anche altro: una festa, un rito collettivo. Montreal si accende, le strade si riempiono, il pubblico canadese – educato, entusiasta, mai invadente – trasforma il weekend in un happening. È una di quelle gare che i piloti amano, forse perché qui la Formula 1 ritrova un po’ di quella spontaneità che i simulatori e i dati rischiano di soffocare. Il Gp del Circuit Gilles Villeneuve – una pista semipermanente, costruita su un’isola artificiale – sfodera infatti la sua meravigliosa contraddizione grazie al fiume San Lorenzo che scorre placido, quasi indifferente, mentre i piloti si giocano la gloria a 330 all’ora. È un luogo unico, pazzesco, con Montreal che per una settimana si traveste da capitale della velocità, tra eventi, folle festanti e un’atmosfera che sa di anni Settanta, quando la Formula 1 era più vera.
…chissa cosa passa nella testa di Hamilton oggi…
Mecca potrebbe avere grattacapi domani in gara Norris tante volte non aveva handling prima del rettilineo. Piatri ormai è in volo verso il 1° titolo.
Unica cosa certa: domani la Ferrari non va a podio.